Fontebianca apparve alla prua del traghetto alle cinque del pomeriggio come previsto dal programma di viaggio. Man mano che si avvicinavano i colori caldi dei palazzi signorili diventavano sempre più evidenti, così come i marmi bianchi delle cupole e l’oro che li decorava. Il porto mostrava una variegata collezione di imbarcazioni a vapore pesci-formi che si spostavano sull’acqua come se vi stessero scivolando sopra, alcune che prendevano il largo, altre che invece si immettevano dei grandi o piccoli canali ramificati all’interno della città.
Tre
lunghi squilli di tromba annunciarono ai passeggeri l’imminente approccio alla
città lagunare, accompagnati dalla voce del capitano che rammentava ai passeggeri
a bordo di non dimenticare alcun bagaglio. Anche se mancava ancora un po' di
tempo prima dello sbarco ufficiale, molti scesero già sui ponti in fila
ordinata; chi invece sapeva di non avere fretta si affacciò al parapetto per
assistere al rituale dell’entrata in porto, famoso nel paese per essere
caratterizzato da una muraglia di ferro e corallo presidiata da statue
meccaniche di tritoni e sirene sempre all’erta. I robot non aveva un aspetto
particolarmente bello, anzi; si poteva dire che erano brutti, ma ai turisti
piacevano e il comune non vedevano motivo di cambiarli se non quando smettevano
di funzionare o cadevano a pezzi.
La
muraglia, sulla cui facciata erano riprodotte delle onde stilizzate, era già
aperta quando il traghetto vi passò attraverso. L’accesso in laguna era stato
autorizzato via radio, in caso contrario le navi vedetta delle forze di
sicurezza in giro nello specchio d’acqua come squali argentati sarebbero
immediatamente intervenute per fermare l’entrata non autorizzata. Tutti quanti
sapevano che gli accessi alla città, sia per mare che per terra, erano rigidi e
addirittura conteggiati, una scelta politica quella per assicurare che il paese
fosse visitato solo la “giusta” gente.
Don
Walter sapeva che con quel termine si riferivano alle persone con un alto
status sociale.
Grugnì
contrariato, trovava assurdo che qualcuno potesse pretendere di rendere una
città abitabile da una sola tipologia di individui. Guardò ancora una volta la
lettera che gli era stata spedita dal cardinale della Cattedrale della “Madonna
del Mare”, domandandosi se non fosse in realtà una sorta di invito a diventare
parte di quella limitata categoria di eletti.
Don
Walter Mezzanotte non era un sacerdote come gli altri… anzi; si poteva proprio
dire che non c’era un altro sacerdote come lui.
L’abito
talare non si abbinava proprio alla sua aria da duro più simile a quella di un
galeotto che ad un uomo di chiesa, soprattutto con quella sua folta barba
ispida e capelli scuri sempre in disordine, per non parlare della sua stazza
alta e massiccia che sarebbe più stata adeguata a trovarsi, ad esempio; a bordo
di un ring di lotta libera. Da un momento all’altro sembrava che le grosse
braccia potessero strappare il tessuto della veste che gli stava visibilmente
stretta in molti punti, stesso discorso per il collarino bianco che dava
l’impressione di poter volare via ad ogni rigonfiamento del collo. Eppure;
dietro quella faccia da duro, con gli occhi piccoli all’apparenza bloccati in
una costante espressione accigliata, c’era un uomo molto dedito alla fede.
Sapeva cosa pensavano di lui le altre persone e onestamente non era cosa che
gli importava molto, quella era la sua faccia e gli piaceva. Ciò che contava
davvero era il modo in cui poteva portare la fede nelle vite degli altri e come
aiutarli.
Il
suo lavoro gli dava un sacco di soddisfazioni, ma nemmeno nella casa del
Signore mancavano i problemi. Nel suo caso, riguardava l’essere stato chiamato
a Fontebianca.
Aveva
tentato fino all’ultimo di non andarci, oltre al fatto che non gli piacevano le
grandi città con il chiasso, lo smog, eccetera; non voleva avere nulla a che
fare con gli individui della chiesa locale. Lo sapevano tutti, nel suo ambiente;
che erano dei grandissimi palloni gonfiati. Si vantavano di essere una sorta di
elitè solo perché la loro chiesa era stata riconosciuta dalla Sede Maggiore
come uno dei più importanti punti di riferimento che rappresentavano la
grandezza del Signore, di essere i maggiori divulgatori della buona novella e
di essere sempre dalla parte degli sfortunati… tutte scuse per avere il
pretesto di sentirsi un gradino sopra gli altri, insomma.
Ancora
peggio, era che molti credevano a quelle baggianate.
Dicevano
di seguire i precetti base dell’umiltà, ma lui li aveva visti pavoneggiarsi ai
ricevimenti, ostentando la loro sorta di “nobiltà”. Se non fosse stato che il
loro potere era troppo grande, non si sarebbe fatto scrupoli a dirgli cosa
pensava davvero di loro. Forse un giorno l’avrebbe fatto, ma purtroppo non
oggi. L’avevano chiamato perché avevano bisogno di lui e sapeva che, almeno in
quel caso; doveva trattarsi di qualcosa di serio e davvero importante. E
quello, doveva ammetterlo, lo incuriosiva molto.
<<
Don Walter? >> gli chiese un uomo avvicinandosi a lui, non appena uscì
dal porto.
Indossava
una divisa da autista e dietro di lui era parcheggiata una carrozza motorizzata
a quattro ruote blu scuro con le rifiniture in argento che le davano un tocco
un po' sontuoso, la mascotte[1] posta sul bordo frontale
dell’auto era una piccola croce argentata.
<<
Ben arrivato a Fontebianca, signore. Spero che il viaggio sia stato tranquillo.
>>
<<
È andato bene. >>
<<
Sono stato incaricato di venire a prenderla dal Cardinale Della Rosa. Sua
santità mi ha chiesto di portala subito da lui non appena sarebbe arrivato, se
ovviamente al contrario non è stanco e preferisce invece andare in albergo. >>
<<
Portami pure da lui. Non facciamolo attendere. >>
L’autista
era solerte senza dubbio, peccato che la sua guida fosse un po' troppo
imprudente.
Le
frenate e le curve brusche misero a dura prova il suo sangue freddo, con le
grandi mani si aggrappò al bordo del sedile in pelle per meglio reggersi
nonostante la cintura di sicurezza, preoccupato di poter essere sballottato via.
Con la velocità con cui guidava non ebbe l’occasione di ammirare la città e
farsi un’idea del posto, capire quanto si avvicinasse alle sue impressioni o se
si fosse sbagliato. Prima però, doveva sperare di sopravvivere a quella
trappola.
La
destinazione finale fu un grande complesso quadrato che si affacciava su uno
dei canali grandi con la sommità merlata, disposto su tre livelli. Al
pianterreno cinque grandi arcate a tutto sesto chiudevano un portico da dove si
accedeva all’interno. Il secondo livello era percorso da una lunga fila di
bifore e monofore, alle quali corrispondevano simmetricamente le finestre
quadrangolari minori dei due piani sovrastanti. Un portiere invitò Don Walter
ad entrare, prima di varcare la soglia diede un’occhiata all’emblema della
chiesa posto sopra il portone, completamente in oro, rappresentante una coppa
con aureola che emergeva da un ricciolo d’acqua.
Grugnì
ancora, non gli piaceva.
Appena
entrato accedette ad un ampio cortile interno circondato da colonne che
sostenevano una serie di archi che definivano il perimetro del cortile simmetricamente
perfetto; il soffitto era coperto da una struttura in vetro e acciaio a
scacchiera da cui il sole entrava caldo senza però soffocare l’aria. Le persone
lì dentro erano quasi tutte in tunica talare come lui oppure con un tailleur da
ufficio, in effetti l’atmosfera che gli dava era proprio quella e dai discorsi
che poté sentire di sfuggita sembrava che parlassero proprio di faccende
burocratiche.
Come
l’aveva chiamato l’autista quel posto? Ah sì, “La
Fondazione delle Acque Benedette”.
<<
Don Walter, ben arrivato. L’attendevamo con ansia. >>
Il
prete fu accolto dal Cardinale Remondo Della Rosa in persona, il capo della
chiesa locale.
Il
Cardinale aveva la veneranda età di 85 anni e bisognava fargli i complimenti
perché se li portava abbastanza bene, dimostrandone almeno una ventina in meno,
si notava anche quanto fosse ben pasciuto e non l’avrebbe sorpreso se avesse
scoperto che fosse una buona forchetta. Aveva un sorriso da bonaccione e il
naso lungo e appuntito, le orecchie appena leggermente a sventola… non per
essere irrispettoso ma gli davano un’aria da tontolone.
Indossava
un paio di occhiali vecchio stile, dalle lenti spesse come oblò che servivano
agli occhi piccoli di vedere meglio, il cui color marrone cozzava con la veste
talare gialla e bianca su cui svettava un prezioso rosario in oro con una croce
grande quanto la sua mano e impreziosita da un rubino.
Ma
più dell’individuo che aveva davanti a sé, rimase colpito dalla stanza. Era
incredibilmente sfarzosa, arredata con mobili antichi su cui erano posati
ornamenti in cristallo, c’erano persino due statue del periodo classico
rappresentanti degli angeli messi ai lati di una libreria, osservò basito i
quadri di celebri artisti che abbellivano le pareti e quasi si stupì di non
trovare un affresco sul soffitto, visto quanto fosse incredibilmente
appariscente il posto.
“È
una galleria d’arte oppure un ufficio?” si chiese.
<<
Sua grazia. Onorato di conoscerla. >> disse, ricordandosi di salutare.
<<
Suvvia, non c’è bisogno di essere così formali. Si metta pure comodo, avrà
fatto un viaggio lungo immagino. Vuole che le faccia portare qualcosa da bere o
da mangiare? >>
<<
La ringrazio, sto bene così. >>
<<
Sono davvero contento che abbia accettato il mio invito, da quando ho sentito
parlare di lei da alcuni fratelli[2] e delle opere di bene che
ha fatto nel paese, non vedevo l’ora di conoscerla. >>
<<
A quanto pare la mia fama mi precede. >>
<<
Deve andarne fiero. Uomini come lei sono rari al giorno d’oggi. >>
<<
Mi perdoni se sono brusco, ma vorrei sapere il motivo per cui ha voluto
convocarmi. La sua lettera era molto vaga a proposito. >>
<<
Giusto, giusto. Ha ragione. >>
L’uomo
spinse verso il prete una mappa della città su cui svettava un largo cerchio
nella parte est.
<<
Vede… il motivo per cui l’ho convocata si chiama Borgomale. >> cominciò a
spiegare il Cardinale.
<<
Quando parlo di Fontebianca, cerco sempre di valorizzarne la beltà della
cultura e della gente. Sono fiero di essere nato in questa città e di come essa
cerchi sempre di migliorare. Però, quando mi chiedono se anche qui abbiamo
problemi, a denti stretti mento rispondendo di no. In realtà un dilemma l’abbiamo
eccome, ed è l’unica grossa macchia che rovina la perfetta città: Borgomale. >>
Il
Cardinale spiegò che si tratta del quartiere più povero e malfamato della
città, un covo oscuro dove donne di facili costumi, ladri e truffatori,
spacciatori e strozzini potevano agire senza regole.
Le
autorità non avevano giurisdizione in quell’area, i tentativi di portare ordine
e giustizia erano sempre falliti a causa delle violente rivolte dei residenti
che vedevano quegli interventi come una minaccia alla loro libertà, l’unica che
perlomeno conoscevano in quel mondo di sporcizia e disordine. Per molto tempo
la situazione era rimasta in stallo … ma negli ultimi due anni il livello di
criminalità era pericolosamente aumentato e avevano cominciato a verificarsi
gravi incidenti sia dentro che fuori il quartiere. Lentamente, anche nel resto
della città avevano cominciato ad essere segnalati problemi di delinquenza. Con
queste informazioni, si erano resi conto che il problema non poteva più essere
arginato e andava risolto una volta per tutte.
<<
E volete che me ne occupi io? >>
<<
Esatto. Sapevo che avrebbe capito subito. >>
<<
Freni l’entusiasmo eccellenza. Si rende conto che mi sta chiedendo una cosa
assurda? E perché proprio io tra l’altro? >>
<<
Perché è l’unico che può aiutarci in un caso come questo. Ho sentito meraviglie
su come gira il paese e aiuta le comunità a ristabilire l’ordine nei quartieri
senza speranza. Chiunque altro al suo posto si sarebbe già arreso, ma non lei.
>>
<<
L’ho fatto proprio perché tutti gli altri avevano deciso di arrendersi senza
aver nemmeno provato a cambiare le sorti di quei posti. >>
<<
Certo, perché aveva la forza del Signore al suo fianco. >>
<<
La vocazione non c’entra, ho fatto solo quello che era giusto. >>
<<
Ciò non toglie che lei è l’unico che può aiutarci. Le referenze che mi sono
state date da fratelli come Padre Alberto di Santavila
o Don Giustino di Campovoli non hanno fatto altro che convincermi che la
mia scelta è quella giusta. >>
<<
Mi sta trattando come una sorta di super uomo. Non penso di essere degno di
tanta fiducia. >>
<<
Don Walter, io la scongiuro. Lei è la nostra ultima speranza per rendere
Borgomale di nuovo normale. Lo faccia per la povera gente che vive lì, ignara
che esiste un mondo migliore fuori da quelle mura senza violenza o malvagità.
Ci pensi. >>
Don
Walter si passò nervosamente le mani tra i capelli, incredulo della proposta.
Era
una grossa responsabilità. Non era tipo da tirarsi indietro quando c’erano
delle persone in difficoltà, anzi, di solito non si faceva scrupoli ad
intervenire per aiutarle e di solito si trovava già all’opera prima ancora che
qualcuno gli chiedesse aiuto ufficialmente, ma questa volta la pancia gli
diceva di stare attento e di rado essa si sbagliava.
“Però
se ci sono davvero delle povere anime in pena, non posso certo abbandonarle.”
Pensò indeciso.
Posò
gli occhi sulla mappa, precisamente sulla zona cerchiata che indicava la
locazione del quartiere. La carta era molto più scura in quella parte, sembrava
quasi di poter vedere resti di uno scarabocchio che era stato ora cancellato e
i cui solchi erano rimasti impressi come dei graffi. “Borgomale” … che razza di
fantasia avevano avuto per dare un soprannome simile, lo considerava eccessivo.
Anche se la descrizione del Cardinale poteva avere un fondo veritiero, non
voleva partire subito con dei pregiudizi che forse si sarebbero rivelati
sbagliati. Quando chiese al Cardinale come si potesse raggiungere il quartiere,
gli occhi dell’uomo si illuminarono.
<< Vado solo a dare un’occhiata di persona. Non vuole dire che sto accettando. >> si affrettò a puntualizzare.
Per
arrivarci Don Walter dovette farsi accompagnare dall’autista personale di Della
Rosa, perché nessuno altro osava avvicinarsi da quelle parti.
Dovette
ammettere che la prima impressione non fu delle migliori: il degrado era
impressionante. I palazzi erano ruderi dentro cui si udivano litigi concitati accompagnati
da rumore di cose che si rompevano, le strade erano sporche e vi erano
accumulati cumuli di spazzatura, la gente per strada camminava senza voglia di
vivere, elemosinando pochi spiccioli o un tozzo di pane, oppure bevendo e
imprecando l’uno contro l’altro. L’autista l’aveva detto con una nota di
malignità che i residenti avevano la fama di essere chiassosi e incivili, a pretesto
per fargli cambiare idea e non andarci. Ma Don Walter doveva vedere con i suoi
occhi cosa rendeva Borgomale degna del suo nome e farsi una propria opinione.
Aveva
visitato molti posti simili durante la sua carriera da prete e gli faceva
sempre una certa impressione vedere come la società poteva ridursi o come la
stessa cercava di nascondere il suo lato più degradato. Si avviò con passo
lento, esaminando ogni dettaglio di quel posto che abbondava di orologi rotti
su molti edifici, resti di robot abbandonati davanti a negozi chiusi e lampioni
rotti. Non fece caso alle occhiate minacciose che alcuni residenti gli
lanciavano pieni di cattiveria, troppo concentrato nella discussione mentale con
sé stesso se accettare la supplica del Cardinale Della Rosa o seguire l’istinto
e tornarsene a casa.
“Strano
però che la mia pancia mi dica di andarmene. Qui hanno proprio bisogno di una
mano.” pensava tra sé e sé, cercando di capire meglio ciò
che provava.
Il
suo sesto senso non lo aveva mai deluso e l’aveva tirato fuori dai quai tante volte;
quindi, era strano che non fosse tanto chiaro nelle sue intenzioni. La
vecchiaia stava forse cominciando a fargli perdere colpi? Era così concentrato
da non far nemmeno caso allo scippatore che gli parò davanti con un coltello
per derubarlo, superandolo con una spallata.
<<
Ehi grassone! Dico a te! Ho detto che voglio i tuoi soldi! >> gli urlò
l’uomo, quasi offeso per essere stato ignorato.
Don
Walter gli diede retta solo allora, infastidito dall’insulto con cui si era
rivolto. I suoi occhi si ridussero a sottili fessure mentre il criminale
continuava a minacciarlo, solo all’ennesimo riferimento alla sua mole si decise
a lanciarlo dentro un cassonetto della spazzatura con un canestro perfetto. Chi
assistette alla scena rimase senza parole.
<<
Non sono grasso, va bene? >> gli disse con voce ferma.
Tra
le poche cose che gli facevano perdere la pazienza, in cima alla lista c’era
qualsiasi tipo di riferimento alla sua “stazza”.
<<
Ehi, c’è un telefono qui vicino? >> chiese Don Walter al.
Lo
sentì mormorare da dentro il cassonetto qualcosa come un “dietro l’angolo” e a qualche
metro di distanza trovò effettivamente una rovinata ma ancora funzionate cabina
telefonica. Il disco su cui erano disegnati i numeri emetteva ad ogni movimento
una sorta di cigolio simile ad un pigolio, dalla cornetta invece c’era un lieve
fastidioso fischio che lo accompagnò anche durante la chiamata con Della Rosa.
<<
Don Walter? Va tutto bene? Da dove mi sta chiamando? >>
<<
Da Borgomale. Mi ascolti bene, glielo dico chiaro e tondo: qui la situazione è
un disastro. >>
<<
Lo so… come le avevo detto prima il posto è…>>
<<
Si dovrebbe vergognare. Non è scaricando le responsabilità agli altri che si
risolvono i problemi; come guida della chiesa locale dovrebbe essere il primo a
dare l’esempio. >>
<<
Ci ho provato ma non è così semplice… >>
<<
Certo che non è semplice. Se non lo fosse stato, questo posto non sarebbe
diventato certo un tugurio. E lei doveva assicurarsi che questo non accadesse.
Ma con il buon vecchio olio di gomito e un po' di collaborazione, forse anche
questo quartiere potrà risorgere come il figlio del Signore. >>
<<
Intende dire… >>
<<
Che accetto l’incarico. Ma solo è disposto ad assecondare le mie richieste. >>