Capitolo 3: spettri ed esorcismi
A
Fontebianca c’era molta agitazione quel giorno, l’annuale regata delle gondole che
stava avendo luogo nell’ultima decade del mese si stava rivelando molto più
entusiasmante degli anni passati, merito delle novità promosse dal comune e
dalla pubblicità.
La
Gran Regata era una specie di gioco dove squadre di gondolieri formate da
quattro persone, si affrontavano in questa corsa sull’acqua con le proprie
imbarcazioni, attraversando i canali grandi fino a fuori la laguna, dove il
traguardo era rappresentato da due grosse boe unite da uno striscione. L’evento
aveva origini antiche e i locali avevano a cuore di commemorarla ogni anno.
I
vogatori erano tutti tra i migliori del settore, i muscoli delle loro braccia
parevano esplodere mentre remavano al punto che l’imbarcazione sembrava volare;
non per niente si allenavano tutto l’anno. Anche le gondole erano prese in
considerazione in considerazione, progettate appositamente per poter scivolare
sull’acqua con meno resistenza grazie all’uso di una sapiente scelta di
materiali, unita a forme più dinamiche.
I
gruppi partecipanti giocavano per rappresentare il proprio quartiere, ognuno
distinto da un colore e da un simbolo che, ogni anno in quella occasione; se ne
fregiavano con orgoglio. Nella gara di quel giorno erano stato eliminati 10 dei
15 vogatori che si erano distinti nelle prime cinque giornate di selezione dove
prima avevano formato un folto gruppo di 25 partecipanti in totale. Ora, gli
ultimi cinque rimasti si sarebbero ritrovati in finale a contendersi il titolo
di campioni di Fontebianca, che avrebbe avuto luogo tra pochi giorni.
Giocavano
per il titolo i seguenti quartieri: due squadre di Levantina, uno di San
Nicola, uno di Porta Viva, uno di Gugliadoro.
Borgomale,
per ovvie ragioni; non era tra i partecipanti.
Le
regine della regata erano considerate le squadre di Gugliadoro, il quartiere
primario di Fontebianca in cui si trovava la base operativa della chiesa; e
Levantina, il cosiddetto quartiere dei ricchi. Per molti erano tra le favorite
a vincere, avendo già collezionato in passato molte vittorie, di contro, i
tifosi degli altri quartieri fecero fronte comune per sostenere insieme le
squadre degli altri due quartieri. In città era comune sentire entusiasti
tifosi discutere animatamente sulla gara dai bar sparsi in giro, anche a
Borgomale i residenti si confrontavano su chi sarebbe andato sul podio, anche se
in quest’ultimo caso il vero motivo era per raccogliere più soldi possibili
sulle scommesse in corso.
Nella
futura aula di catechismo della Chiesa di Santa Azzurra, Don Walter non faceva
caso al chiasso esterno, concentrato a terminare la solitaria partita a
ping-pong.
Aveva
trascorso tutto il pomeriggio ad intonacare l’interno dell’edificio per dargli
finalmente una parvenza ordinata e non sentiva più la puzza di muffa che gli
aveva torturato il naso da quando era arrivato. Considerando che erano ormai
parecchi giorni che lavorava senza pausa, lottando tra l’altro con i manigoldi
che tentavano di rubare i robot carpentieri, aveva deciso di passare l’ultima
ora giocando.
Non
ce l’avrebbe fatta senza l’aiuto di quei ferri da stiro ambulanti che la Santa Sede
gli aveva inviato per semplificare il lavoro che, seppur vecchi e cigolanti,
erano comunque funzionanti. Gli automi gli avevano risparmiato molto del lavoro
pesante, ma era ancora lontano il giorno in cui poteva disattivarli, la
chiesetta non era affatto messa bene ed era sorprendente che fosse rimasta in
piedi per così tanto tempo senza opportuni interventi di restauro. Ogni tanto
si era fermato a fissare il soffitto, preoccupato dal rumore del legno
cigolante e la polvere che gli cadeva addosso. Chissà se era per fortuna o per
miracolo divino che nulla gli fosse cascato sulla zucca fino a quel momento.
Diede
una sbirciata fuori dalla finestra, con Borgomale che si mostrava nella sua
grigia quotidianità. Dal suo arrivo nel quartiere non era ancora riuscito ad
avere un serio contatto umano con i residenti, a prescindere che si fosse
trattato di un tentativo di presentarsi ai nuovi vicini o di un saluto di
cortesia. Quella gente viveva così male che non si fidava nemmeno dei preti,
come poteva risolvere il problema del loro mal di vivere con una simile
ostilità?
“Forse
è la barba che mi fa sembrare troppo serio.” Pensò
innocentemente Don Walter.
“Potrei
provare ad invitare qualcuno a giocare a ping-pong.”
si chiese, osservando la paletta di legno colorata.
Ad
un tratto sentì dei rumori concitati da fuori la chiesa.
Alzò
gli occhi al cielo, domandandosi cosa stessero tentando di combinargli adesso i
ladruncoli locali. I teppisti avevano provato più volte a rubargli
l’attrezzatura da lavoro o gli automi, e nonostante la sonora lezione che gli
impartiva ogni volta, questi si ostinavano a riprovarci.
“Errare
è umano… ma perseverare è proprio da idioti!” pensò.
I
suoi piccoli occhi si spalancarono per la meraviglia quando una folla di
persone entrò di fretta e furia dentro la chiesa. Uomini, donne e bambini
superarono la soglia del portone e si dispersero nella grande sala ancora
sporca di cumuli di calcinacci e con le impalcature ancora tra i piedi.
Qualcuno si inginocchiò a terra e si mise a pregare difronte alla grande croce
in legno ancora eretta sul tabernacolo, molti altri invece si misero a parlare
tra loro ansiosamente.
<<
Bontà divina, che cosa sta succedendo? È risorto Cristo, nostro signore?
>> chiese confuso.
<<
Ma quale Cristo! Ci sono i fantasmi! >> esclamò qualcuno.
Di
colpo tutti quelli che non stavano pregando si riversarono su di lui, ce ne
volle del tempo prima di capire il senso di quel caos di parole.
Era
in corso una massiccia manifestazione di spettri. Qualcuno aveva disturbato il
sonno dei morti in uno dei cimiteri di Fontebianca, causando il risveglio dei
loro spiriti.
Non
se ne sapeva ancora la causa, stava di fatto che le manifestazioni avevano già
superato i confini del cimitero per cominciare a diffondersi come una piaga nel
centro abitato. La Santa Sede aveva mandato in campo i migliori sacerdoti per
arginare il problema mettendoli a difesa dei quartieri… ma gli abitanti di
Borgomale sapevano di non godere dello stesso privilegio e impallidivano alla
prospettiva di vedere le proprie case infestate da spiriti iracondi.
<<
Non siate così pessimisti. >> disse Don Walter cercando di limitare la
paura. << Se hanno mandato in campo dei sacerdoti, vuol dire che sono
ragazzi in gamba. >>
<<
Oh, certo che sono bravi, solo se però lo fanno per gli altri quartieri.
>> brontolò qualcuno.
Si
fece largo tra la folla una donna dai fianchi tondi, lunghi capelli neri legati
a coda di cavallo e occhi color nocciola nascosti dietro un paio di occhiali
dai bordi sporchi. Aveva un aspetto più “pulito” rispetto agli altri, il suo
tailleur verde oliva, seppur evidentemente non di buona fattura; le dava
un’aria più ordinata quasi da maestra.
<<
Qualunque problema tocchi Borgomale se ne lavano le mani. L’acqua alta, le
invasioni di piccioni, le fogne che si intasano… son problemi che solo qui
persistono, e i fantasmi non sono da meno. >>
<<
Non è la prima volta che si manifesta un’infestazione di spettri in città?
>>
<<
Ma và! È un problema che c’è da anni. Lo sanno tutti qui. >>
<<
Oh, davvero? >>
Don
Walter si mise le mani sui fianchi, in quel momento sembrò diventare ancora più
imponente ed intimidatorio e questo non passò inosservato ad alcuni.
<<
Quante volte all’anno succede? E da quanto tempo, di preciso? >> chiese
alla donna, visto che ne sapeva molto a proposito.
<<
Almeno una volta all’anno e da quanto tempo non saprei dirlo, forse una
sessantina d’anni. Tantissimo. >> gli rispose, cercando di enfatizzare la
lunghezza del tempo con le mani.
A
Don Walter bastò come risposta.
A
passo lungo e pesante entrò nel suo ufficio/sgabuzzino e raccolse dal cumulo di
bagagli un’unica voluminosa valigetta. L’aprì e vi rovistò all’interno senza
tirare fuori nulla, poi la richiuse e si avviò verso l’uscita stringendo forte
i manici di pelle. La folla gli fece spazio, intimorita dal suo sguardo che
sembrava essere diventato in un certo senso più cupo.
<<
Lei, signora. Come si chiama? >> chiese alla donna occhialuta.
<<
Angela Mazzini. >> rispose lei.
Don
Walter le porse un mazzo di chiavi molto pesante, formato da almeno cinque
pezzi in totale.
<<
Lei sembra la più affidabile qui dentro. Le lascio in cura la chiesa. >>
La
signora Angela cercò di dire qualcosa, sorpresa dall’improvviso incarico, ma
Don Walter andò via sbattendo il portone senza aspettare la sua risposta. Dopo
un paio di minuti la porta si riaprì e sua testa emerse dall’uscio. Con voce seria
e tonante disse:
<<
Se al mio ritorno scopro che manca qualcosa o avete fatto del male alla signora,
mi arrabbierò seriamente. >>
E
poi di nuovo, la porta di chiuse.
Quando
Don Walter arrivò al cimitero di San Andrea, l’area era stata isolata dalle
forze speciali della chiesa. I sacerdoti pregavano in lingua latina e diffondevano
nell’aria incensi dall’odore molto particolare, coprendo tutto il perimetro
esterno onde evitare che gli spiriti uscissero ancora dal terreno sacro. Molto
più lontano, una troupe radiofonica trasmetteva in diretta minuto per minuto
con una eccessiva enfasi più adatta ad una partita di calcio che ad un
intervento religioso.
In
quel momento il prete vide due cose che non gli stavano piacendo: uno erano i
radio cronisti che stavano trasformando il problema in un evento mediatico,
l’altro invece l’assenza di effettivo intervento da parte degli esorcisti.
Le
preghiere e gli incensi erano sì, delle fasi importanti per la cacciata dei
demoni o ristabilire l’armonia degli spiriti, ma solo per i primi minuti
dell’emergenza, poi si doveva intervenire subito con l’esorcismo vero e proprio.
Controllò l’orologio da taschino sul cui quadrante era incisa una paperella:
poiché l’emergenza era partita di notte (da quanto sentì dire dai cronisti),
erano già passate troppe ore da quando gli spiriti si erano svegliati e questo
voleva dire maggior difficoltà di poter risolvere il problema.
<<
Beh? Che state aspettando? Che si compia da solo un miracolo? >> chiese
Don Walter al gruppo in generale.
Un
paio di loro si fermarono e lo guardarono male, uno di loro, un uomo
lentigginoso sulla trentina con i capelli rasati, gli si avvicinò tutto
entusiasta.
<<
Lei è Don Walter Mezzanotte, non è vero? >> gli chiese, porgendoli la
mano, gesto che il prete non ricambiò. << Sua Eccellenza, il Cardinale
Della Rosa ci aveva avvertito che sarebbe venuto. >>
<<
Certo che ve l’ha detto. Lo sapeva bene che sarei venuto, quel dannato tacchino
impomatato. >>
<<
Come scusi? >>
<<
Sei tu che a capo di questi ragazzi? Perché non avete ancora cominciato
l’esorcismo? Sono passate più di dieci ore dall’inizio delle manifestazioni. >>
<<
Lo sappiamo, ma abbiamo deciso di intraprendere una via più prudente. Stiamo ancora
prendendo in considerazione il metodo migliore per eseguire l’operazione. >>
<<
Si, sarei stato d’accordo su questa idea se fosse stata applicata
preventivamente. Non dopo dieci ore. Qui ormai non siamo più in zona di
“prudenza”, ma di “Mettiti al lavoro e prendi a calci qualche sedere spiritico”.
>>
<<
C-cosa intende, signore? Non credo di capire. >>
<<
Aprite i cancelli. >>
<<
Come? >>
<<
Mi sembra che tu abbia problemi di udito, fatti controllare le orecchie. Ho
detto di aprire i cancelli, entro dentro. >>
<<
Signore, non è prudente! Il Cardinale mi ha avvisato delle sue capacità ma penso
che anche dall’esterno possa lavorare… >>
Don
Walter diede uno scappellotto alla nuca dell’individuo. Il colpo emise
letteralmente un sonoro schioppo.
<<
Se non volevi che corressi rischi, ci dovevi pensare prima. Adesso, per
risolvere il problema, devo andare direttamente alla fonte. Quindi, zitto e
mosca e fai come ti ho chiesto. >>
Il
sacerdote non osò contraddire ancora Don Walter e disse ai fratelli di
sbrigarsi.
Il
prete varcò l’ingresso senza aspettare che venisse completamente aperto. I
cancelli si richiusero subito dopo alle sue spalle con un tonfo metallico che
fece eco all’interno del campo santo. Arrotolò le maniche della tunica fino ai
gomiti e battè vigorosamente le mani tra di loro fino a quando non frizzarono,
era il suo rituale per darsi la carica.
Walter
Mezzanotte non era solo un prete, egli era anche un esperto esorcista.
Una
persona preposta nello scacciare il diavolo e gli spiriti malvagi lì dove hanno
messo radici nelle anime buone per consumarle e corromperle.
C’erano
due modi per diventare esorcisti: il primo era studiare tanto e impratichirsi
(e risultare idonei), il secondo avere quello che chiamavano il “requisito
specifico”, ossia l’innata capacità di percepire gli spiriti e la loro energia.
È vero che questa parte detta così può suonare come qualcosa di stregonesco, ma
era effettivamente così che veniva chiamata questa specie di dote.
Nel
suo caso si trattava, almeno per come la vedeva la chiesa, di un dono difficile
da trovare a quel giorno tra chi abbraccia la fede di Dio. Dal canto suo,
invece; la considerava una grossa scocciatura, se non addirittura, a volte; una
maledizione.
Walter
Mezzanotte avrebbe preferito essere un semplice prete, soprattutto perché
quella era stata una scelta sua. Diventare esorcista, invece; era stata una
costrizione e lui detestava essere costretto a fare qualcosa che non gli andava.
Un
angelo piangente si mise all’improvviso a cantare, Walter fece un passo
indietro colto di sorpresa. Quella che aveva creduto essere una statua era
invece un robot abilmente camuffato, programmato per riprodurre canti sacri al
modico prezzo una moneta. Il finto angelo aprì e chiuse la bocca fingendo di
cantare per pochi minuti prima di disattivarsi, chinando la testa verso il
basso. Poi cominciò a sentirli: i sinistri sussurri, l’aria fredda che ti gela
il sangue, le ombre che si notano solo con la coda dell’occhio… tipici segnali
di una classica infestazione. Più si addentrava nel cimitero e più l’energia
spirituale diventava forte; gli si rizzarono tutti i peli in corpo e persino la
barba sembrò gonfiarsi. Quel che più lo preoccupò fu la tensione nell’aria,
segno della rabbia che i “residenti” stavano provando.
Quando
doveva valutare l’irrequietezza di uno spettro, lui la immaginava come una robusta
corda: più essa era sfilacciata e consunta, più vicini erano a perdere la
pazienza. Se ciò fosse successo, sarebbero stati cavoli amari per tutti.
“Devo
ricordarmi di chiedere i nomi dei deficienti che hanno dissacrato le tombe.” pensò
il prete.
Lungo
la strada aveva sentito sprazzi di cronaca alla radio su come era partito il
problema. Se i custodi si fossero mai ripresi dal trauma, gliene avrebbe fatto
venire un altro lui stesso.
<<
Vade retro…! >>
Don
Walter fu all’improvviso circondato da una folta folla di spettri, le cui
figure bluastre formavano insieme una anomala nebbia fredda come quella che si
formava in inverno. Una persona normale avrebbe già cominciato ad urlare di
orrore davanti a quella massa fluttuante di occhi vitrei, sguardi arcigni e
persino di forme decomposte, ma Don Walter, invece; rimase assolutamente
impassibile.
<<
Vattene…! Vade retro…! >> ripetè una voce
incorporea.
Aprì
la sua valigetta e da essa tirò fuori un crocifisso in metallo e una voluminosa
bottiglietta in cui galleggiava acqua santa. Gli spettri continuarono a gemere,
minacciare e avvicinarsi senza davvero muovere le loro gambe. Lo spirito di un
uomo adulto, forse un operario a giudicare dai vestiti che indossava, si
avvicinò velocemente con un crescente agghiacciante urlo e le mani protese in
avanti, a cui una mancava mezzo dito indice. Poco prima che potessero anche
solo sfiorare don Walter, questo si voltò verso di lui e gli spruzzò addosso
una generosa quantità di acqua santa.
Lo
spettro fece una sorta di salto all’indietro, all’improvviso i suoi gemiti
erano più umani e persino la sua apparenza meno inquietante. E così fu anche
per gli altri spiriti, che reagirono agli spruzzi come gatti permalosi.
<<
E basta! È che lagna che siete. Dateci un taglio. >> disse il prete,
continuando a spruzzarli.
Lì
dove non bastava il solo fluido a calmarli, accompagnava l’inusuale rito con le
classiche preghiere che, però; venivano più di una volta alternate dai suoi
stessi brontolii del tipo: “Nel nome del padre, del figlio e dello spirito
santo datti una dannata calmata”, oppure “Ave Maria, piena di grazia… da una
sonora strigliata che sto perdendo la pazienza” … e così via dicendo.
Nonostante il metodo poco ortodosso, quasi tutti i fantasmi recuperarono
lucidità, calmandosi di conseguenza.
<<
Basta così gente, avete tutto il diritto di essere arrabbiati per il fatto che
hanno riesumato i vostri corpi senza permesso, ma non di prendervela con i
viventi che non c’entrano niente. >> disse, in un momento in cui i
lamenti si fermarono.
C’era
ancora qualcuno però che continuava ad essere rabbioso nonostante l’esorcismo,
più precisamente un uomo che avrebbe potuto avere la sua età e che vestiva una
vecchia divisa da poliziotto. L’uomo aveva dei larghi fori di proiettili da cui
si poteva ipotizzare che fosse morto sul lavoro, la colorazione della sua anima,
a differenza degli altri, tendeva ad un’appena accennato rosa pallido, un
brutto segnale che indicava che rischiava di trasformarsi in uno spirito
iracondo a cui non sarebbe nemmeno bastata la parola del signore per placarlo.
Non voleva che si arrivasse a quel punto, non quando mancava così poco all’ora
di pranzo.
<<
Accidenti, tu invece sei sul punto di perdere la pazienza. >> mormorò tra
sé e sé.
Don
Walter tentò di calmarlo, ma il fu poliziotto “rispose” con urla che di umano
non avevano quasi più nulla e le poche parole che pronunciò erano ripetizioni a
pappagallo di parole a caso, forse legati ai suoi ultimi istanti di vita o a
ciò che aveva fatto in vita. Non ne era sorpreso, era uno stato quello in cui
l’anima stava cominciando a perdere l’umanità e la coscienza.
<<
Suvvia, fai sforzo di ricordare com’eri, anziché urlare. Non costringermi ad
usare le maniere forti per calmarti, va bene? >>
Alla
sua domanda ricevette l’ennesimo grido di risposta, nonché un tentativo di
attacco.
Lo
spettro tentò di graffiarlo, a seguito di quel gesto l’aria divenne per un
momento molto calda. Don Walter si toccò istintivamente anche se non era stato nemmeno
sfiorato, sapeva di dover stare molto attento.
<<
Beh, visto che non ho scelta… >>
Aprì
ancora una volta la sua fida valigetta, posando con cura quegli strumenti di
cui si era servito fino adesso. Al loro posto prese un vasetto in cui era
contenuta una polvere bianca a grani grossi, raccolse una generosa manciata e
se la strofinò energicamente sulle mani imbiancandole. Completato quel rito,
senza aggiungere preghiere o altri rituali inconsueti, qualcosa nel suo gesto svegliò
nello spettro un lieve dimenticato senso di ansia.
La
grande mano di Don Walter, completamente aperta e allargata come un ventaglio,
si schiantò sul suo volto.
Il
poliziotto roteò su sé stesso come una trottola, persino i suoi occhi sembrarono
roteare come biglie. Scosse la testa, recuperando lucidità. Urlando come
un’animale si avventò sul prete, il quale però riuscì a schivare i suoi
tentativi di graffi con molta facilità. Si muoveva con l’agilità di un pugile
sia per schivare che per colpire. E che colpi! Anche si trattava di schiaffi,
dal rumore che emettevano si poteva dedurre quanto stessero facendo male. Don
Walter era davvero forte, così tanto da riuscire a prendere una mano dello
spettro e costringerlo a prendersi a schiaffi da solo mentre ripeteva con voce
autoritaria, seppur monotona:
<<
Datti una calmata. Datti una calmata. Datti una calmata. >>
Quel
trattamento durò quasi un minuto intero, tanto bastò allo spirito di tornare in
sé. Dopo un ultimo energico ceffone, per lui fu come svegliarsi da un brutto
sogno. Anche se morto, le sue guance divennero rosse e persino leggermente
gonfie. Si sarebbe dovuto chiedere come fosse possibile che una persona ancora
viva fosse stata in grado di colpire un fantasma, ma in quel momento non aveva
intenzione di farsi domande.
<<
Ti sei calmato? >> gli chiese il prete, fissandolo dritto negli occhi.
Lo
spettro annuì energicamente e senza creare altri problemi ritornò al suo riposo
eterno, scusandosi per il fastidio causato. Gli altri fantasmi, rimasti a
guardare fino a quel momento, lo imitarono uno dopo l’altro. Don Walter annuì
soddisfatto, l’atmosfera del cimitero era decisamente molto più tranquilla
adesso. Certo ci sarebbe dovuto tornare di nuovo prima di poter azzardare a
dire che non ci sarebbero state più manifestazioni, e ciò voleva dire fare il
doppio del lavoro di quanto realmente richiesto.
<<
Allora? È andato tutto bene? >> chiese il sacerdote, quando lo vide
uscire.
Don
Walter gli diede un altro energico scappellotto.
<<
Certo che è andato tutto bene, ma solo perché sono arrivato in tempo prima che la
situazione degenerasse. Quando c’è da fare un esorcismo non bisogna mai
temporeggiare, altrimenti sono cavoli amari. Capito? >>
<<
V-va bene. La p-prossima volta faremo più attenzione. >>
<<
Piuttosto, mi puoi organizzare un appuntamento con il Cardinale? Devo scambiare
quattro chiacchiere con lui su questa faccenda. >>
<<
Credo che sia possibile… forse sua eccellenza può riceverla fra un mese. Sa, è
molto impegnato… >>
<<
Voglio vederlo tra una settimana. >>
<<
Ma ho appena detto…. >>
<<
Una settimana. >>
<<
Come desidera signore! >>
Il
sacerdote scappò via verso la prima cabina telefonica vicina, con le mani che
tremavano nel cercare di prendere il borsellino con le monete.
Si
trattava di una settimana, ma per Don Walter sarebbe stata dura avere pazienza
fino ad allora, soprattutto con tutto quel desiderio sfrenato di esprimere le
sue opinioni al Cardinale Della Rosa. Ora gli era chiaro perché lo avevano
chiamato a Fontebianca.
Prima di andarsene, diede un’ultima occhiata al cimitero, osservando attraverso le sbarre del cancello le statue e le tombe di nuovo quiete, almeno per ora. Si rese conto che c’era qualcuno degli “ospiti” che lo osservava di nascosto, non lo vedeva ma lo percepiva, così come la sua aura inquieta. Appena avrebbe potuto sarebbe tornato, sperando di poter aiutare chiunque avesse ancora bisogno di conforto anche dopo la morte.
Vinny
finì di ascoltare alla radio del giornalaio la storia dell’esorcismo. Si fece
il segno della croce, non gli piaceva sentire certe storie di fantasmi, gli
mettevano ansia.
Un
fischio breve e uno lungo, prodotto da qualcuno che gli passò velocemente
accanto, richiamò la sua attenzione: era il segnale che poteva muoversi.
Mantenendo un atteggiamento normale, entrò dentro il solito vicoletto dietro la
pescheria del Gianni, assicurandosi di non essere seguito da nessuno. Beh, chi
avrebbe dovuto seguirlo? C’erano solo casalinghe a fare la spesa, in quel
momento lì, nella zona del mercato.
La
stradina si stringeva proprio verso la fine a mò di imbuto, dando un forte
senso di claustrofobia man mano che le pareti dei palazzi adiacenti si
stringevano sempre più verso l’interno. Lì dentro non c’era nulla a parte un
paio di scatole che sarebbero però sparite a fine giornata e un piccolo segreto
nascosto proprio lì. Vinny contò fino a dieci e un segmento della parete
difronte a lui, piccola quanto una finestrella, si aprì e un omino basso che
fumava una sigaretta storta vi si affacciò mentre finiva di pigiare i tasti di
una calcolatrice meccanica. Gli porse una busta di carta rettangolare, dandole
dei delicati colpetti.
<<
Bravo, al Gabbiano è piaciuto il lavoro. Ti ha dato un extra di gratitudine. >>
disse l’ometto, tenendo sempre la sigaretta in bocca.
<<
Sicuro di non voler entrare nella banda? Uno come te ci farebbe comodo. >>
Vinny
rispose alla proposta mostrando il dito medio.
Era
di umore nero, da quando era stato costretto ad eseguire l’ordine di quello
stronzo non faceva altro che rimuginarci sopra. Costringerlo a rubare alla
chiesa… che diavolo gli passava per la testa a quel pazzo? Anche se non era
stato scoperto, si sentiva come se da un momento all’altro potessero venire a
prenderlo. Ma poi, la vera domanda era: cosa diavolo se ne doveva fare di un
reliquario?
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