Red Scar - Capitolo 3

 

Capitolo 3: spettri ed esorcismi

 

A Fontebianca c’era molta agitazione quel giorno, l’annuale regata delle gondole che stava avendo luogo nell’ultima decade del mese si stava rivelando molto più entusiasmante degli anni passati, merito delle novità promosse dal comune e dalla pubblicità.

La Gran Regata era una specie di gioco dove squadre di gondolieri formate da quattro persone, si affrontavano in questa corsa sull’acqua con le proprie imbarcazioni, attraversando i canali grandi fino a fuori la laguna, dove il traguardo era rappresentato da due grosse boe unite da uno striscione. L’evento aveva origini antiche e i locali avevano a cuore di commemorarla ogni anno.

I vogatori erano tutti tra i migliori del settore, i muscoli delle loro braccia parevano esplodere mentre remavano al punto che l’imbarcazione sembrava volare; non per niente si allenavano tutto l’anno. Anche le gondole erano prese in considerazione in considerazione, progettate appositamente per poter scivolare sull’acqua con meno resistenza grazie all’uso di una sapiente scelta di materiali, unita a forme più dinamiche.

I gruppi partecipanti giocavano per rappresentare il proprio quartiere, ognuno distinto da un colore e da un simbolo che, ogni anno in quella occasione; se ne fregiavano con orgoglio. Nella gara di quel giorno erano stato eliminati 10 dei 15 vogatori che si erano distinti nelle prime cinque giornate di selezione dove prima avevano formato un folto gruppo di 25 partecipanti in totale. Ora, gli ultimi cinque rimasti si sarebbero ritrovati in finale a contendersi il titolo di campioni di Fontebianca, che avrebbe avuto luogo tra pochi giorni.  

Giocavano per il titolo i seguenti quartieri: due squadre di Levantina, uno di San Nicola, uno di Porta Viva, uno di Gugliadoro.

Borgomale, per ovvie ragioni; non era tra i partecipanti.

Le regine della regata erano considerate le squadre di Gugliadoro, il quartiere primario di Fontebianca in cui si trovava la base operativa della chiesa; e Levantina, il cosiddetto quartiere dei ricchi. Per molti erano tra le favorite a vincere, avendo già collezionato in passato molte vittorie, di contro, i tifosi degli altri quartieri fecero fronte comune per sostenere insieme le squadre degli altri due quartieri. In città era comune sentire entusiasti tifosi discutere animatamente sulla gara dai bar sparsi in giro, anche a Borgomale i residenti si confrontavano su chi sarebbe andato sul podio, anche se in quest’ultimo caso il vero motivo era per raccogliere più soldi possibili sulle scommesse in corso.

Nella futura aula di catechismo della Chiesa di Santa Azzurra, Don Walter non faceva caso al chiasso esterno, concentrato a terminare la solitaria partita a ping-pong.

Aveva trascorso tutto il pomeriggio ad intonacare l’interno dell’edificio per dargli finalmente una parvenza ordinata e non sentiva più la puzza di muffa che gli aveva torturato il naso da quando era arrivato. Considerando che erano ormai parecchi giorni che lavorava senza pausa, lottando tra l’altro con i manigoldi che tentavano di rubare i robot carpentieri, aveva deciso di passare l’ultima ora giocando.

Non ce l’avrebbe fatta senza l’aiuto di quei ferri da stiro ambulanti che la Santa Sede gli aveva inviato per semplificare il lavoro che, seppur vecchi e cigolanti, erano comunque funzionanti. Gli automi gli avevano risparmiato molto del lavoro pesante, ma era ancora lontano il giorno in cui poteva disattivarli, la chiesetta non era affatto messa bene ed era sorprendente che fosse rimasta in piedi per così tanto tempo senza opportuni interventi di restauro. Ogni tanto si era fermato a fissare il soffitto, preoccupato dal rumore del legno cigolante e la polvere che gli cadeva addosso. Chissà se era per fortuna o per miracolo divino che nulla gli fosse cascato sulla zucca fino a quel momento.

Diede una sbirciata fuori dalla finestra, con Borgomale che si mostrava nella sua grigia quotidianità. Dal suo arrivo nel quartiere non era ancora riuscito ad avere un serio contatto umano con i residenti, a prescindere che si fosse trattato di un tentativo di presentarsi ai nuovi vicini o di un saluto di cortesia. Quella gente viveva così male che non si fidava nemmeno dei preti, come poteva risolvere il problema del loro mal di vivere con una simile ostilità?

“Forse è la barba che mi fa sembrare troppo serio.” Pensò innocentemente Don Walter.

“Potrei provare ad invitare qualcuno a giocare a ping-pong.” si chiese, osservando la paletta di legno colorata.

Ad un tratto sentì dei rumori concitati da fuori la chiesa.

Alzò gli occhi al cielo, domandandosi cosa stessero tentando di combinargli adesso i ladruncoli locali. I teppisti avevano provato più volte a rubargli l’attrezzatura da lavoro o gli automi, e nonostante la sonora lezione che gli impartiva ogni volta, questi si ostinavano a riprovarci.

“Errare è umano… ma perseverare è proprio da idioti!” pensò.

I suoi piccoli occhi si spalancarono per la meraviglia quando una folla di persone entrò di fretta e furia dentro la chiesa. Uomini, donne e bambini superarono la soglia del portone e si dispersero nella grande sala ancora sporca di cumuli di calcinacci e con le impalcature ancora tra i piedi. Qualcuno si inginocchiò a terra e si mise a pregare difronte alla grande croce in legno ancora eretta sul tabernacolo, molti altri invece si misero a parlare tra loro ansiosamente.

<< Bontà divina, che cosa sta succedendo? È risorto Cristo, nostro signore? >> chiese confuso.

<< Ma quale Cristo! Ci sono i fantasmi! >> esclamò qualcuno.

Di colpo tutti quelli che non stavano pregando si riversarono su di lui, ce ne volle del tempo prima di capire il senso di quel caos di parole.

Era in corso una massiccia manifestazione di spettri. Qualcuno aveva disturbato il sonno dei morti in uno dei cimiteri di Fontebianca, causando il risveglio dei loro spiriti.

Non se ne sapeva ancora la causa, stava di fatto che le manifestazioni avevano già superato i confini del cimitero per cominciare a diffondersi come una piaga nel centro abitato. La Santa Sede aveva mandato in campo i migliori sacerdoti per arginare il problema mettendoli a difesa dei quartieri… ma gli abitanti di Borgomale sapevano di non godere dello stesso privilegio e impallidivano alla prospettiva di vedere le proprie case infestate da spiriti iracondi.

<< Non siate così pessimisti. >> disse Don Walter cercando di limitare la paura. << Se hanno mandato in campo dei sacerdoti, vuol dire che sono ragazzi in gamba. >>

<< Oh, certo che sono bravi, solo se però lo fanno per gli altri quartieri. >> brontolò qualcuno.

Si fece largo tra la folla una donna dai fianchi tondi, lunghi capelli neri legati a coda di cavallo e occhi color nocciola nascosti dietro un paio di occhiali dai bordi sporchi. Aveva un aspetto più “pulito” rispetto agli altri, il suo tailleur verde oliva, seppur evidentemente non di buona fattura; le dava un’aria più ordinata quasi da maestra.

<< Qualunque problema tocchi Borgomale se ne lavano le mani. L’acqua alta, le invasioni di piccioni, le fogne che si intasano… son problemi che solo qui persistono, e i fantasmi non sono da meno. >>

<< Non è la prima volta che si manifesta un’infestazione di spettri in città? >>  

<< Ma và! È un problema che c’è da anni. Lo sanno tutti qui. >>

<< Oh, davvero? >>

Don Walter si mise le mani sui fianchi, in quel momento sembrò diventare ancora più imponente ed intimidatorio e questo non passò inosservato ad alcuni.

<< Quante volte all’anno succede? E da quanto tempo, di preciso? >> chiese alla donna, visto che ne sapeva molto a proposito.

<< Almeno una volta all’anno e da quanto tempo non saprei dirlo, forse una sessantina d’anni. Tantissimo. >> gli rispose, cercando di enfatizzare la lunghezza del tempo con le mani.

A Don Walter bastò come risposta.

A passo lungo e pesante entrò nel suo ufficio/sgabuzzino e raccolse dal cumulo di bagagli un’unica voluminosa valigetta. L’aprì e vi rovistò all’interno senza tirare fuori nulla, poi la richiuse e si avviò verso l’uscita stringendo forte i manici di pelle. La folla gli fece spazio, intimorita dal suo sguardo che sembrava essere diventato in un certo senso più cupo.

<< Lei, signora. Come si chiama? >> chiese alla donna occhialuta.

<< Angela Mazzini. >> rispose lei.

Don Walter le porse un mazzo di chiavi molto pesante, formato da almeno cinque pezzi in totale.

<< Lei sembra la più affidabile qui dentro. Le lascio in cura la chiesa. >>

La signora Angela cercò di dire qualcosa, sorpresa dall’improvviso incarico, ma Don Walter andò via sbattendo il portone senza aspettare la sua risposta. Dopo un paio di minuti la porta si riaprì e sua testa emerse dall’uscio. Con voce seria e tonante disse:

<< Se al mio ritorno scopro che manca qualcosa o avete fatto del male alla signora, mi arrabbierò seriamente. >>

E poi di nuovo, la porta di chiuse.


 

Quando Don Walter arrivò al cimitero di San Andrea, l’area era stata isolata dalle forze speciali della chiesa. I sacerdoti pregavano in lingua latina e diffondevano nell’aria incensi dall’odore molto particolare, coprendo tutto il perimetro esterno onde evitare che gli spiriti uscissero ancora dal terreno sacro. Molto più lontano, una troupe radiofonica trasmetteva in diretta minuto per minuto con una eccessiva enfasi più adatta ad una partita di calcio che ad un intervento religioso.

In quel momento il prete vide due cose che non gli stavano piacendo: uno erano i radio cronisti che stavano trasformando il problema in un evento mediatico, l’altro invece l’assenza di effettivo intervento da parte degli esorcisti. 

Le preghiere e gli incensi erano sì, delle fasi importanti per la cacciata dei demoni o ristabilire l’armonia degli spiriti, ma solo per i primi minuti dell’emergenza, poi si doveva intervenire subito con l’esorcismo vero e proprio. Controllò l’orologio da taschino sul cui quadrante era incisa una paperella: poiché l’emergenza era partita di notte (da quanto sentì dire dai cronisti), erano già passate troppe ore da quando gli spiriti si erano svegliati e questo voleva dire maggior difficoltà di poter risolvere il problema.

<< Beh? Che state aspettando? Che si compia da solo un miracolo? >> chiese Don Walter al gruppo in generale.

Un paio di loro si fermarono e lo guardarono male, uno di loro, un uomo lentigginoso sulla trentina con i capelli rasati, gli si avvicinò tutto entusiasta.

<< Lei è Don Walter Mezzanotte, non è vero? >> gli chiese, porgendoli la mano, gesto che il prete non ricambiò. << Sua Eccellenza, il Cardinale Della Rosa ci aveva avvertito che sarebbe venuto. >>

<< Certo che ve l’ha detto. Lo sapeva bene che sarei venuto, quel dannato tacchino impomatato. >>

<< Come scusi? >>

<< Sei tu che a capo di questi ragazzi? Perché non avete ancora cominciato l’esorcismo? Sono passate più di dieci ore dall’inizio delle manifestazioni. >>

<< Lo sappiamo, ma abbiamo deciso di intraprendere una via più prudente. Stiamo ancora prendendo in considerazione il metodo migliore per eseguire l’operazione. >>

<< Si, sarei stato d’accordo su questa idea se fosse stata applicata preventivamente. Non dopo dieci ore. Qui ormai non siamo più in zona di “prudenza”, ma di “Mettiti al lavoro e prendi a calci qualche sedere spiritico”. >>

<< C-cosa intende, signore? Non credo di capire. >>

<< Aprite i cancelli. >>

<< Come? >>

<< Mi sembra che tu abbia problemi di udito, fatti controllare le orecchie. Ho detto di aprire i cancelli, entro dentro. >>

<< Signore, non è prudente! Il Cardinale mi ha avvisato delle sue capacità ma penso che anche dall’esterno possa lavorare… >>

Don Walter diede uno scappellotto alla nuca dell’individuo. Il colpo emise letteralmente un sonoro schioppo.

<< Se non volevi che corressi rischi, ci dovevi pensare prima. Adesso, per risolvere il problema, devo andare direttamente alla fonte. Quindi, zitto e mosca e fai come ti ho chiesto. >>

Il sacerdote non osò contraddire ancora Don Walter e disse ai fratelli di sbrigarsi.

Il prete varcò l’ingresso senza aspettare che venisse completamente aperto. I cancelli si richiusero subito dopo alle sue spalle con un tonfo metallico che fece eco all’interno del campo santo. Arrotolò le maniche della tunica fino ai gomiti e battè vigorosamente le mani tra di loro fino a quando non frizzarono, era il suo rituale per darsi la carica.

 

Walter Mezzanotte non era solo un prete, egli era anche un esperto esorcista.

Una persona preposta nello scacciare il diavolo e gli spiriti malvagi lì dove hanno messo radici nelle anime buone per consumarle e corromperle.

C’erano due modi per diventare esorcisti: il primo era studiare tanto e impratichirsi (e risultare idonei), il secondo avere quello che chiamavano il “requisito specifico”, ossia l’innata capacità di percepire gli spiriti e la loro energia. È vero che questa parte detta così può suonare come qualcosa di stregonesco, ma era effettivamente così che veniva chiamata questa specie di dote.

Nel suo caso si trattava, almeno per come la vedeva la chiesa, di un dono difficile da trovare a quel giorno tra chi abbraccia la fede di Dio. Dal canto suo, invece; la considerava una grossa scocciatura, se non addirittura, a volte; una maledizione.

Walter Mezzanotte avrebbe preferito essere un semplice prete, soprattutto perché quella era stata una scelta sua. Diventare esorcista, invece; era stata una costrizione e lui detestava essere costretto a fare qualcosa che non gli andava.

Un angelo piangente si mise all’improvviso a cantare, Walter fece un passo indietro colto di sorpresa. Quella che aveva creduto essere una statua era invece un robot abilmente camuffato, programmato per riprodurre canti sacri al modico prezzo una moneta. Il finto angelo aprì e chiuse la bocca fingendo di cantare per pochi minuti prima di disattivarsi, chinando la testa verso il basso. Poi cominciò a sentirli: i sinistri sussurri, l’aria fredda che ti gela il sangue, le ombre che si notano solo con la coda dell’occhio… tipici segnali di una classica infestazione. Più si addentrava nel cimitero e più l’energia spirituale diventava forte; gli si rizzarono tutti i peli in corpo e persino la barba sembrò gonfiarsi. Quel che più lo preoccupò fu la tensione nell’aria, segno della rabbia che i “residenti” stavano provando.

Quando doveva valutare l’irrequietezza di uno spettro, lui la immaginava come una robusta corda: più essa era sfilacciata e consunta, più vicini erano a perdere la pazienza. Se ciò fosse successo, sarebbero stati cavoli amari per tutti.

“Devo ricordarmi di chiedere i nomi dei deficienti che hanno dissacrato le tombe.” pensò il prete.

Lungo la strada aveva sentito sprazzi di cronaca alla radio su come era partito il problema. Se i custodi si fossero mai ripresi dal trauma, gliene avrebbe fatto venire un altro lui stesso.

<< Vade retro…! >>

Don Walter fu all’improvviso circondato da una folta folla di spettri, le cui figure bluastre formavano insieme una anomala nebbia fredda come quella che si formava in inverno. Una persona normale avrebbe già cominciato ad urlare di orrore davanti a quella massa fluttuante di occhi vitrei, sguardi arcigni e persino di forme decomposte, ma Don Walter, invece; rimase assolutamente impassibile.

<< Vattene…! Vade retro…! >> ripetè una voce incorporea.

Aprì la sua valigetta e da essa tirò fuori un crocifisso in metallo e una voluminosa bottiglietta in cui galleggiava acqua santa. Gli spettri continuarono a gemere, minacciare e avvicinarsi senza davvero muovere le loro gambe. Lo spirito di un uomo adulto, forse un operario a giudicare dai vestiti che indossava, si avvicinò velocemente con un crescente agghiacciante urlo e le mani protese in avanti, a cui una mancava mezzo dito indice. Poco prima che potessero anche solo sfiorare don Walter, questo si voltò verso di lui e gli spruzzò addosso una generosa quantità di acqua santa.

Lo spettro fece una sorta di salto all’indietro, all’improvviso i suoi gemiti erano più umani e persino la sua apparenza meno inquietante. E così fu anche per gli altri spiriti, che reagirono agli spruzzi come gatti permalosi.    

<< E basta! È che lagna che siete. Dateci un taglio. >> disse il prete, continuando a spruzzarli.

Lì dove non bastava il solo fluido a calmarli, accompagnava l’inusuale rito con le classiche preghiere che, però; venivano più di una volta alternate dai suoi stessi brontolii del tipo: “Nel nome del padre, del figlio e dello spirito santo datti una dannata calmata”, oppure “Ave Maria, piena di grazia… da una sonora strigliata che sto perdendo la pazienza” … e così via dicendo. Nonostante il metodo poco ortodosso, quasi tutti i fantasmi recuperarono lucidità, calmandosi di conseguenza.

<< Basta così gente, avete tutto il diritto di essere arrabbiati per il fatto che hanno riesumato i vostri corpi senza permesso, ma non di prendervela con i viventi che non c’entrano niente. >> disse, in un momento in cui i lamenti si fermarono.

C’era ancora qualcuno però che continuava ad essere rabbioso nonostante l’esorcismo, più precisamente un uomo che avrebbe potuto avere la sua età e che vestiva una vecchia divisa da poliziotto. L’uomo aveva dei larghi fori di proiettili da cui si poteva ipotizzare che fosse morto sul lavoro, la colorazione della sua anima, a differenza degli altri, tendeva ad un’appena accennato rosa pallido, un brutto segnale che indicava che rischiava di trasformarsi in uno spirito iracondo a cui non sarebbe nemmeno bastata la parola del signore per placarlo. Non voleva che si arrivasse a quel punto, non quando mancava così poco all’ora di pranzo.

<< Accidenti, tu invece sei sul punto di perdere la pazienza. >> mormorò tra sé e sé.

Don Walter tentò di calmarlo, ma il fu poliziotto “rispose” con urla che di umano non avevano quasi più nulla e le poche parole che pronunciò erano ripetizioni a pappagallo di parole a caso, forse legati ai suoi ultimi istanti di vita o a ciò che aveva fatto in vita. Non ne era sorpreso, era uno stato quello in cui l’anima stava cominciando a perdere l’umanità e la coscienza.

<< Suvvia, fai sforzo di ricordare com’eri, anziché urlare. Non costringermi ad usare le maniere forti per calmarti, va bene? >>

Alla sua domanda ricevette l’ennesimo grido di risposta, nonché un tentativo di attacco.

Lo spettro tentò di graffiarlo, a seguito di quel gesto l’aria divenne per un momento molto calda. Don Walter si toccò istintivamente anche se non era stato nemmeno sfiorato, sapeva di dover stare molto attento.

<< Beh, visto che non ho scelta… >>

Aprì ancora una volta la sua fida valigetta, posando con cura quegli strumenti di cui si era servito fino adesso. Al loro posto prese un vasetto in cui era contenuta una polvere bianca a grani grossi, raccolse una generosa manciata e se la strofinò energicamente sulle mani imbiancandole. Completato quel rito, senza aggiungere preghiere o altri rituali inconsueti, qualcosa nel suo gesto svegliò nello spettro un lieve dimenticato senso di ansia.

La grande mano di Don Walter, completamente aperta e allargata come un ventaglio, si schiantò sul suo volto.

Il poliziotto roteò su sé stesso come una trottola, persino i suoi occhi sembrarono roteare come biglie. Scosse la testa, recuperando lucidità. Urlando come un’animale si avventò sul prete, il quale però riuscì a schivare i suoi tentativi di graffi con molta facilità. Si muoveva con l’agilità di un pugile sia per schivare che per colpire. E che colpi! Anche si trattava di schiaffi, dal rumore che emettevano si poteva dedurre quanto stessero facendo male. Don Walter era davvero forte, così tanto da riuscire a prendere una mano dello spettro e costringerlo a prendersi a schiaffi da solo mentre ripeteva con voce autoritaria, seppur monotona:

<< Datti una calmata. Datti una calmata. Datti una calmata. >>

Quel trattamento durò quasi un minuto intero, tanto bastò allo spirito di tornare in sé. Dopo un ultimo energico ceffone, per lui fu come svegliarsi da un brutto sogno. Anche se morto, le sue guance divennero rosse e persino leggermente gonfie. Si sarebbe dovuto chiedere come fosse possibile che una persona ancora viva fosse stata in grado di colpire un fantasma, ma in quel momento non aveva intenzione di farsi domande.

<< Ti sei calmato? >> gli chiese il prete, fissandolo dritto negli occhi.

Lo spettro annuì energicamente e senza creare altri problemi ritornò al suo riposo eterno, scusandosi per il fastidio causato. Gli altri fantasmi, rimasti a guardare fino a quel momento, lo imitarono uno dopo l’altro. Don Walter annuì soddisfatto, l’atmosfera del cimitero era decisamente molto più tranquilla adesso. Certo ci sarebbe dovuto tornare di nuovo prima di poter azzardare a dire che non ci sarebbero state più manifestazioni, e ciò voleva dire fare il doppio del lavoro di quanto realmente richiesto.

<< Allora? È andato tutto bene? >> chiese il sacerdote, quando lo vide uscire.

Don Walter gli diede un altro energico scappellotto.

<< Certo che è andato tutto bene, ma solo perché sono arrivato in tempo prima che la situazione degenerasse. Quando c’è da fare un esorcismo non bisogna mai temporeggiare, altrimenti sono cavoli amari. Capito? >>

<< V-va bene. La p-prossima volta faremo più attenzione. >>

<< Piuttosto, mi puoi organizzare un appuntamento con il Cardinale? Devo scambiare quattro chiacchiere con lui su questa faccenda. >>

<< Credo che sia possibile… forse sua eccellenza può riceverla fra un mese. Sa, è molto impegnato… >>

<< Voglio vederlo tra una settimana. >>

<< Ma ho appena detto…. >>

<< Una settimana. >>

<< Come desidera signore! >>

Il sacerdote scappò via verso la prima cabina telefonica vicina, con le mani che tremavano nel cercare di prendere il borsellino con le monete.

Si trattava di una settimana, ma per Don Walter sarebbe stata dura avere pazienza fino ad allora, soprattutto con tutto quel desiderio sfrenato di esprimere le sue opinioni al Cardinale Della Rosa. Ora gli era chiaro perché lo avevano chiamato a Fontebianca.

Prima di andarsene, diede un’ultima occhiata al cimitero, osservando attraverso le sbarre del cancello le statue e le tombe di nuovo quiete, almeno per ora. Si rese conto che c’era qualcuno degli “ospiti” che lo osservava di nascosto, non lo vedeva ma lo percepiva, così come la sua aura inquieta. Appena avrebbe potuto sarebbe tornato, sperando di poter aiutare chiunque avesse ancora bisogno di conforto anche dopo la morte.

 

Vinny finì di ascoltare alla radio del giornalaio la storia dell’esorcismo. Si fece il segno della croce, non gli piaceva sentire certe storie di fantasmi, gli mettevano ansia.

Un fischio breve e uno lungo, prodotto da qualcuno che gli passò velocemente accanto, richiamò la sua attenzione: era il segnale che poteva muoversi. Mantenendo un atteggiamento normale, entrò dentro il solito vicoletto dietro la pescheria del Gianni, assicurandosi di non essere seguito da nessuno. Beh, chi avrebbe dovuto seguirlo? C’erano solo casalinghe a fare la spesa, in quel momento lì, nella zona del mercato.

La stradina si stringeva proprio verso la fine a mò di imbuto, dando un forte senso di claustrofobia man mano che le pareti dei palazzi adiacenti si stringevano sempre più verso l’interno. Lì dentro non c’era nulla a parte un paio di scatole che sarebbero però sparite a fine giornata e un piccolo segreto nascosto proprio lì. Vinny contò fino a dieci e un segmento della parete difronte a lui, piccola quanto una finestrella, si aprì e un omino basso che fumava una sigaretta storta vi si affacciò mentre finiva di pigiare i tasti di una calcolatrice meccanica. Gli porse una busta di carta rettangolare, dandole dei delicati colpetti.

<< Bravo, al Gabbiano è piaciuto il lavoro. Ti ha dato un extra di gratitudine. >> disse l’ometto, tenendo sempre la sigaretta in bocca.

<< Sicuro di non voler entrare nella banda? Uno come te ci farebbe comodo. >>

Vinny rispose alla proposta mostrando il dito medio.

Era di umore nero, da quando era stato costretto ad eseguire l’ordine di quello stronzo non faceva altro che rimuginarci sopra. Costringerlo a rubare alla chiesa… che diavolo gli passava per la testa a quel pazzo? Anche se non era stato scoperto, si sentiva come se da un momento all’altro potessero venire a prenderlo. Ma poi, la vera domanda era: cosa diavolo se ne doveva fare di un reliquario?

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