Red Scar - Capitolo 2

 

Capitolo 2: il coniglio bianco

 

Qualcosa di nuovo e curioso animò il nuovo mattino a Borgomale: correva voce che un prete stava rimettendo a posto la vecchia chiesa parrocchiale di “Santa Azzurra della Laguna”.

La notizia stupì perché l’edificio, oltre ad essere abbandonato da 60 anni, era stato anche sconsacrato. Quindi, tecnicamente parlando, non avevano più un valore religioso. Tutti si chiedevano: chi mai poteva essere così sciocco da tentare di rimettere in piedi un luogo di cui non importava più nemmeno alla stessa santa sede? Uno sciocco, ovviamente… anche se già da una sola occhiata molti avevano capito subito che Don Walter non era da considerarlo tale.

La voce del nuovo arrivato si era diffusa a macchia d’olio tra bisbigli e passaparola, e i più curiosi erano andati a spiarlo. Si stupirono, oltre che dell’aspetto, della forza che mostrò durante la pulizia della chiesa, sollevando e spostando vecchi mobili e oggetti pesanti senza fatica. Chi aveva pensato di derubarlo cambiò idea sia per quello, che per lo sguardo minaccioso che rivolse.

“Che strano uomo”, pensarono similmente molti.

Ma così come era grande l’interesse nei suoi confronti, al tempo stesso lo era la certezza che non sarebbe durato a lungo. Non era la prima persona che tentava di portare del buono a Borgomale e nonostante i propositi, alla fine nessuno riusciva davvero a portarli a termine.

<< Oh, era ora. >> esclamò Mezzanotte quando vide arrivare un grosso furgone.

Il veicolo parcheggiò nel vecchio cortile adiacente che era divenuto regno di erbacce, oltre che nascondiglio di lucertole e scarafaggi. Il furgone aveva una forma un po' bombata e il tetto a segmenti esagonali, i paraurti erano spessi e coprivano gran parte delle ruote nere e dalle tubature che collegavano il motore a tutto il mezzo uscivano continui sbuffi di vapore caldo. Sembrava un po' una specie di tartaruga, con l’unica differenza che questa era pronta ad una precipitosa fuga in qualsiasi momento.

<< Avete già portato tutto quello che avevo chiesto? Siete efficienti. >>

<< No, previdenti. Ci hanno detto di non tornare una seconda volta in questo buco. >>

Don Walter sospirò, ormai aveva imparato quanto fosse profonda la diffidenza dei cittadini nei confronti di Borgomale.

Le madri la usavano come “minaccia” per spaventare i figli disubbidienti e la polizia faceva spesso ronde agli ingressi dei ponti per assicurarsi che nessuno vi entrasse o ne uscisse, altri preti e persino qualche abitante del luogo aveva provato a convincerlo ad abbandonare qualunque progetto egli avesse in mente.

I corrieri scaricarono tutti i pacchi accatastandoli a caso nel cortile, erano quasi tutte larghe casse di legno con su scritto “fragile” oppure “pesante” e su ognuno era attaccato un foglio su cui c’era scritto il contenuto.

<< Mi spiegate come devo attivarli? >>

<< È tutto scritto nel manuale, basta seguire le istruzioni. Noi adesso dobbiamo andare, abbiamo altre consegne da fare. >>

<< Ehi, almeno mi garantite che questi affari funzionano? Ehi!>>

Il furgone sgommò via, ignorando il prete mentre veniva intossicato dallo smog rilasciato dalla marmitta. Si mise le mani ai fianchi, incredulo dalla situazione. Beh, non era la prima volta che era costretto a cavarsela da solo, molte delle cose che sapeva fare le aveva imparate senza aiuto di necessità virtù, anziché seguendo la guida di un maestro.

<< Chi lavora, Dio gli dona. >> si disse da solo, motivandosi.

Lesse le bolle per capire quali avessero la priorità e quali invece poteva lasciare ancora chiuse, mettendole così insieme in ordine di importanza. Fu in quel momento che notò in lontananza degli uomini che lo osservavano… o, meglio, che osservavano interessati le casse arrivate. Non ci voleva un genio per capire che alla prima occasione avrebbero tentato di rubarle, intuendo che il contenuto fosse in qualche modo importante, avevano un atteggiamento molto più spavaldo rispetto a quello di altri individui che l’avevano tenuto d’occhio per tutto il tempo.

Sapeva di dover stare attento, dopotutto Borgomale era covo di ladri, ma non si fece intimidire né da quegli sguardi, né dalle loro intenzioni. Non gli rivolse parola e nemmeno li guardò male, scelse di continuare a lavorare come se niente fosse. Le casse che non gli servivano se le caricò sulle spalle e le portò dentro la chiesa in modo da occuparsene dopo, quelle di cui già gli serviva il contenuto le aprì scardinandone un lato con le mani, spezzando in legno come fosse un grissino che poi delicatamente buttò da parte.

Gli uomini rimassero a fisarlo a bocca aperta, increduli della sua forza. Si scambiarono delle occhiate preoccupate e poi via, se ne andarono a gambe levate decidendo saggiamente di non dargli noia. 

<< Funziona sempre. >> disse ridacchiando il prete.

 


Fontebianca godeva dell’attenzione che il mondo gli riservava.

La “marea” turisti era sempre vista con buon entusiasmo, in quanto significava pubblicità e tanti soldi.

Considerata la sua vicinanza con l’acqua, molti dettagli urbani erano stati convertiti per riflettere questo elemento: ad esempio, le lampade dei lampioni erano poggiate su delle conchiglie aperte, molte delle case erano dipinte di varie tonalità di blu e azzurro e le nuove cabine telefoniche sembravano delle reti da pesca sulla cui cima stazionavano piccoli pesci e persino granchi.

Man mano che la città cresceva, si era cercato di migliorare l’ospitalità locale in modo da dare una buona impressione ai visitatori per invogliarli a tornare e soprattutto a spendere i loro averi nelle taverne, gli hotel e le botteghe. Un dettaglio di nota di cui i locali andavano fieri erano gli spessi tubi di ghisa che emergevano ad arco dal terreno, la cui funzione era portare calore all’interno delle strutture, districandosi in tutta la città come dei grossi serpenti.

Alcuni furbi imprenditori erano riusciti ad avviare un’attività nei quartieri di “San Nicola” e di “Gugliadoro”, luoghi fra i più frequentati.

Il quartiere San Nicola comprendeva principalmente il porto, i cantieri navali e anche alcuni uffici. Si trattava di un luogo dedito più al lavoro che al turismo, ma nascosti tra i palazzi e le vie che costeggiavano sottili canaletti esistevano ancora antiche botteghe sopravvissute alla modernità dei tempi e che i forestieri trovavano interessanti. Era proprio in quei posti che i mariuoli trovavano facili occasioni di “lavoro”, borseggiando i passanti spesso senza che se ne rendessero conto. Fingere di chiedere un’informazione, una spallata data all’apparenza per sbaglio, una gentilezza… erano tanti i modi per sfilare da borse e tasche borsellini e porta monete, o addirittura gioielli e orologi.  E se il colpo non fosse riuscito, sarebbe restato solo da scappare.

Avere buone gambe per correre era necessario tanto quanto avere la mano leggera per rubare.

Era proprio su questi aspetti che uno dei più noti delinquenti di Fontebianca, soprannominato il “Coniglio Bianco”, stava affidandosi dopo essere stato notato da un poliziotto a portare via il portafoglio di un turista. Il fischio del vigilante attirò l’attenzione delle persone e di altri colleghi che intervennero al richiamo per dare una mano, distinguendosi con le loro uniformi blu scuro e gli inserti neri e rossi, nonché per gli stemmi scintillanti del loro corpo militare, cuciti sui cappelli che da un momento all’altro potevano volare via nella corsa. L’individuo non era preoccupato del numero di inseguitori, anzi; la considerava l’ennesima sfida contro sé stesso per dimostrare che sarebbe di nuovo riuscito a farla franca. Si infilò per le strade più strette, scavalcando ostacoli e schivando persino auto in corsa, intralciò i  suoi inseguitori gettando per strada bidoni dei rifiuti oppure cassette di frutta o di pesce. “Guardie e Ladri” era un gioco che non lo annoiava mai perché ogni volta era sempre diverso… e in particolare perché vinceva sempre lui.

“Oh cavolo, sono in ritardo.” Pensò ad un certo punto, sentendo i rintocchi del campanile della chiesa segnare l’ora.

A malincuore interruppe il gioco, seminando i poliziotti con un atletico salto che gli permise di scalare velocemente una parete come se avesse le ali ai piedi, raggiungendo i tetti delle case parzialmente coperti dal fumo dei comignoli. Per strada, senza modo di raggiungerlo, gli altri sbraitavano di rabbia e alcuni avevano persino buttato a terra i berretti per la frustrazione. Non ne potevano più di essere umiliati da quell’individuo, primo o poi sarebbero riusciti ad arrestarlo e finalmente le strade di Fontebianca sarebbero state più sicure.

 

Intanto il “Coniglio Bianco”, anche se non più inseguito, continuò a correre.

Aveva un appuntamento importante e sarebbero stati grossi guai per lui se non l’avesse rispettato. L’ultima volta che aveva fatto ritardo, non gliela avevano fatta passare liscia e quando ci pensava poteva ancora sentire la sua schiena sussultare di dolore per la “penitenza” subita. Alla fine, prendendo varie scorciatoie e approfittando un passaggio a scrocco a bordo di uno dei tram che attraversavano la città, riuscì ad arrivare a Borgomale.

Tra le strade cupe del quartiere dovette rallentare il passo, anche se si conoscevano quasi tutti tra loro era sempre meglio muoversi cautamente, in particolare per non attirare l’attenzione di certi vicini poco amichevoli da cui era bene stare alla larga.

<< Finalmente sei arrivato. >> esordì un uomo dall’espressione seria che lo stava aspettando fuori da un vecchio palazzone grigio a tre piani.

Indossava un completo che si sarebbe potuto definire elegante, ma i bordi sfilacciati e il tessuto sbiadito ne sottolineavano la qualità scadente e consunta.

<< Ehi, stavolta sono puntuale. >> gli disse lo scippatore.

<< Hai portato quella cosa? >>

<< Certo. Appena prima di venire qui. >>

Il ladro mostrò un grosso pacco che reggeva cautamente con entrambe le mani, il contenuto era molto delicato e aveva preso più di una precauzione per preservarlo.

L’altro uomo vi sbirciò dentro per assicurarsi l’integrità del prodotto, guai a lui se fosse stato il contrario. Certo che fosse tutto a posto, annuì soddisfatto e aprì il portone del palazzo, facendogli cenno di entrare.

Si sentivano grida acute all’interno del palazzo che, nonostante l’aspetto vetusto; cercava di mostrarsi curato e pulito con mobili seminuovi e qualche pianta disposta in giro. C’erano molte persone all’interno che passavano da una stanza all’altra del palazzo, alcune con il volto stanco e altre invece ancora energiche, dopo probabilmente una seconda o terza dose di caffè. Era stato lì dentro tante di quelle volte che ricordava a memoria i nomi delle persone, l’interno di ogni stanza e cosa c’era in ognuno dei piani. Non lo considerava un luogo di lavoro, ma ci si trovava spesso a visitarlo per poter soddisfare le esigenti richieste dei suoi occupanti.

<< Sono felice che sei riuscito a venire. Oggi più che mai avevamo bisogno di te, soprattutto dopo la notizia che ci hanno dato ieri. >>

<< Non mi sorprende, è un grosso cambiamento dopo tanto tempo che non c’erano state richieste. >>

<< Già, quindi fai particolarmente attenzione, oggi sono parecchio agitati. >>

<< Tanto quanto? >>

<< Li ho sentiti parlare del cavallo pazzo. >>

Aperta l’ultima porta, i due uomini furono investiti dalle grida acute dei quindici bambini che stavano giocando all’interno. Maschi e femmine si rincorrevano oppure lottavano tra loro colpendosi con i cuscini dei propri letti, su alcuni di questi erano stati poggiati dei larghi cartoni su cui erano disegnati torri di castelli, draghi rampanti e alberi dalle folte chiome, alcuni gruppi fingevano di essere impavidi cavalieri o principesse indifese. In un angolo della stanza, sopra una coppia di tavoli, giacevano i resti in briciole o mezzi mangiati di dolci e salati vari di cui gli odori aleggiavano ancora nell’aria, sui bordi era invece attaccato un piccolo striscione su cui era scritto con della vernice blu “Congratulazioni Luigi”.

Uno dei bambini si accorse della presenza dei due uomini e subito punto il dito verso il ladro, urlando a squarciagola il suo nome con l’entusiasmo tipico della fanciullezza. Nell’immediato, come una sorta di effetto domino, il resto del gruppo lo imitò e lo circondarono in un unico coro felice.

<< E allora? Come sta il nostro festeggiato? >> chiese ad uno dei maschietti del gruppo, l’unico che indossava una coroncina fatta di carta gialla.

<< Sono superfelice! Questo è il giorno più super bello della mia vita! >> gridò il bambino con sorriso a cui mancavano un incisivo.

<< Bene! Questo è proprio ciò che volevo sentire! Però mi sembra che a questa festa manchi ancora qualcosa… >>

I bambini, incuriositi dalle parole dell’uomo, lo guardarono ripetendo “cosa?” con un tono di voce che ricordava il pigolio di un pulcino. Fu allora che aprì la scatola che aveva con sé, rivelando una torta al cioccolato la cui glassa era perfettamente liscia e lucida, con i bordi decorati da granella di biscotti e un ciuffo di panna che la incoronava al centro. Era un dolce semplice sia nel gusto che nell’aspetto, ma per quei bambini era la cosa più splendida che avessero mai visto, in particolare per il giovane festeggiato.

<< Congratulazioni per la tua adozione Luigi. >>

<< Grazie Vinny! >>

Il vero nome del Coniglio Bianco era Vinicio Castelli, o semplicemente “Vinny”.

Vinicio era un uomo alto, snello e con la faccia d’angelo che trapelava qualcosa di furbo e i cui occhioni azzurri, i ricci biondi ribelli e il sorriso gentile gli avrebbero permesso di passare per un ricco gentiluomo del paese, anziché un delinquente. Vinicio si distingueva dalla massa sì, per il suo aspetto, ma non nel senso normale. Egli difatti soffriva di una forma di vitiligine[1] segmentale localizzata principalmente sull’area sinistra del volto, coprendo l’area dell’occhio e parte della fronte, e su quasi tutto il braccio sinistro. Erano ancora tanti quelli che si tenevano a distanza pensando che la sua condizione fosse contagiosa, ma lui non ci faceva più caso da molti anni.

Come abitante di Borgomale, egli cadeva in quella percentuale di residenti cresciuti rubando e imbrogliando la gente benestante di Fontebianca. Era bravo in quello, probabilmente era il migliore fra tutti i suoi “colleghi” in attività nel quartiere. Sarebbe stato da lodare per le sue abilità, se non si fosse trattato di qualcosa che andava contro la legge. Vinicio sapeva che rubare era sbagliato, ma alla fine della giornata lo considerava un mestiere come un altro, necessario per sopravvivere. Oltre ad essere atletico era anche svelto di mente, non c’era molti tipi altrettanto svegli e furbi da quelle parti… e quelli che invece lo erano, invece; non possedevano certi scrupoli che lui, al contrario; si teneva ben stretti. Ad esempio, Vinicio ci teneva ad aiutare i bambini dell’orfanotrofio “Piccolo Angelo della Pace” di cui era un affiatato volontario. Donava parte dei suoi “risparmi” ai volontari per pagare le numerose spese, offriva sempre una mano per eventuali riparazioni e, soprattutto; non ci pensava due volte a far compagnia ai bambini che stravedevano per lui.

Non si stancava mai di giocare con loro, raccontargli fiabe o semplicemente tenergli compagnia quando erano ammalati… e un appuntamento a cui non mancava mai era quando venivano finalmente adottati.

<< Questa è la quarta adozione di quest’anno… non ne avevamo mai avute così tante prima d’ora. >> disse commosso l’uomo accanto a lui, ossia il vecchio Direttore Gallo.

<< Non ricordo quando è stata l’ultima volta che sentivo così tante risate felici in questo vecchio posto… se dovessi morire adesso, me ne andrei felice. >>

<< Ce ne vuole prima che tu tiri le cuoia. Con la pellaccia dura che ti ritrovi, camperai anche più a lungo di me. >>

<< Questo è sicuro, se ti ostini ad incoraggiare la polizia. Prima o poi ti prenderanno, e appena ti sbattono in prigione, ti ammazzeranno. >>

<< Pessimista come al solito. Non mi prenderanno mai. >>

<< Vinny, te ne prego. Ascoltami una buona volta. >> la voce del Direttore si fece ansiosa.

Afferrò una spalla di Vinicio e la scosse fermamente. Lui distolse lo sguardo cercando di fingere noia, quando in realtà era un modo codardo per non dover affrontare un sentimentale argomento.

<< Vattene da questo posto. Mio fratello ha ancora un posto libero nella sua fabbrica, a Notera. La paga è ottima, la città tranquilla… puoi rifarti una vita lì, onesta e dignitosa. >>

<< Buon Dio, Antonio, ancora con questa storia? Quante volte ancora dovrai ripetermelo? Non mi interessa. >>

<< Perché no? Dannazione, almeno abbi la decenza di dirmelo! >>

Vinicio mandò giù un pezzo della torta che lo stesso festeggiato gli aveva ceduto, cercando addolcire l’amaro che stava formandosi in fondo alla gola. Fissava ogni partecipante alla festicciola, i sorrisi ancora innocenti della loro età e gli occhi pieni di sogni e speranze non ancora infranti.

<< Perché finché ci sono io qui fare il lavoro sporco, loro hanno un’occasione di rigare dritto. >> rispose, dopo un lungo silenzio.

 

Ad un tratto uno dei dipendenti interruppe la conversazione informando che c’era qualcuno a telefono per Vinicio.

Di colpo la torta perse tutto il suo buon sapore; già sapeva di si trattava.

<< Pronto? >> chiese, dopo aver poggiato all’orecchio la cornetta del telefono.

In sottofondo sentì il motivetto di una vecchia canzone di musica classica, una sinfonia che gli fece istintivamente alzare gli occhi al cielo, nauseato per tutte le volte che l’aveva sentita.

<< Finalmente ti trovo, disgraziato. Cosa diavolo stai facendo? >> rispose una voce rauca e infastidita, a cui si susseguirono dei forti colpi di tosse.

<< Sono ad una festa, che c’è? >>

<< Lo sapevo che eri di nuovo da quei mocciosi. C’è che a differenza di te io lavoro, brutto fannullone che non sei altro. È da un’ora che ti aspetto qui a casa del Gabbiano… Te lo ricordi che ci aveva convocato per un’offerta di lavoro, vero? >>

<< Boh? Forse? >>

L’Interlocutore si sfogò in una lunga sequela di insulti irripetibili, Vinicio dovette allontanare la cornetta per non restare assordato.

<< A meno che non preferisci avere il culo scambiato con la faccia, muoviti a venire qui! Invece di perdere tempo con quei morti di fame, preoccupati di svolgere il lavoro che ti viene chiesto! >>

<< Eh, come sei noioso. Se fosse per te non ci si divertirebbe mai, ci sarebbe sempre e solo il lavoro. Goditi un po' la vita, qualche volta. >>

<< Il coniglietto a ragione, la vita ogni tanto va goduta serenamente. >>

La voce che sentì in sottofondo gli diede i brividi.

Vinicio si definiva una persona tranquilla e a cui poche cose lo facevano innervosire. Al contrario, c’era invece qualcosa… o meglio, qualcuno che non poteva proprio sopportare nemmeno sentendone il nome.

Si faceva chiamare il “Gabbiano”, ed era uno stronzo.

Era a capo del gruppo criminale più attivo lì a Fontebianca, si poteva quasi dire che la sua organizzazione fosse quasi al pari di un’azienda perché era stata capace di raggiungere una impressionante pianificazione fatta di furti su commissione, riciclo di denaro sporco e pericolosi ricatti che tenevano in scacco alcuni personaggi influenti della città. Grazie a ciò, quel bastardo poteva condurre la bella la vita. Nonostante la sua fama era nota anche alle forze dell’ordine, la mancanza di prove e testimoni, che per fortunate coincidenze “sparivano”; gli concedevano di restare a piede libero. Quasi tutti i criminali di Borgomale lavoravano per lui e dicevano che era conveniente stare alle sue dipendenze visto quanto potevano guadagnare, Vinicio, invece; non ci voleva avere nulla a che fare con lui, consapevole di quanto fosse marcio e fin dove fosse in grado di spingersi per soddisfare la sua sete di soldi e potere.

<< Signor Castelli, non si preoccupi di ciò che dice il suo amico. Resti pure alla festa, non c’è bisogno che mi raggiunga qui a casa. >>

“E chi aveva voglia di venire?” pensò Vinicio.

<< Anzi, per non scomodarla dopo, possiamo parlarne al telefono. Le prenderò solo qualche minuto, il tempo per presentarle una proposta di lavoro… >>

<< La ringrazio ma sono già pieno di impegni. Sarò disponibile per una collaborazione forse fra “ventordici” anni. >>

<< Andiamo, la pagherò bene. Le garantisco che è un’offerta molto vantaggiosa. >>

<< E io le garantisco che non sono interessato, grazie. >>

Anche se non poteva vederlo, dal sospiro che sentì alla cornetta capì che il Gabbiano era infastidito dal rifiuto.

Ciò nonostante, quando tornò a parlare; non si scompose e mantenne un tono cordiale.

<< Mi dispiace sentire questo, mi avrebbe davvero fatto piacere se avesse potuto lavorare per me. Le sue doti sono straordinarie, è quasi un super eroe. >>

<< Signore, la prego. Adoro i complimenti, ma non mi faranno cambiare idea. >>

<< Lo so, lo so bene. Però vede… non mi viene in mente nessuno altrettanto in gamba nel poter chiedere di entrare negli uffici della “Fondazione delle Acque Benedette”. Ho ottimi impiegati alle mie dipendenze, ma nessuno si avvicina al suo livello. >>

Vinicio rimase a bocca aperta, incredulo da ciò che aveva appena sentito.

<< Ma che è? È matto per caso? >> disse al Gabbiano, guardando il ricevitore scioccato. << Mi vuole assumere per entrare negli uffici della chiesa? >>

<< Si, perché vede… >>

<< Ma anche no! Mica son scemo! Sono un ladro sì, ma dalla chiesa non prendo nulla! >>

<< Le assicuro che gran parte di quella gente ha intenzioni nobili quanto le mie. >>

<< Grazie al cazzo, lo so bene. Ma è comunque sbagliato! Quindi, no! Si dimentichi di me! >>

Al telefono ci fu di nuovo silenzio, ma stavolta non percepiva quel disappunto di prima e onestamente, non prometteva bene.

Sentì rumore di carta che veniva sfogliata, poi quello di una penna che scriveva. Poi il Gabbiano si rivolse all’altro uomo, collega di Vinicio, chiedendogli se eventualmente avesse tempo per fargli un favore nel caso non si metterebbero d’accordo.

<< Posso farle una domanda? >>

<< No. >>

<< Sa dove si trova “Calle[2] dei Pozzi”? >>

Vinicio smise di respirare, era la strada in cui si trovava l’orfanotrofio. Senza farlo parlare, il mafioso gli fece capire che da quelle parti sarebbero capitati molti incidenti se non gli avesse fatto quel favore, garantendo il rischio che potessero andarci di mezzo i residenti… e in particolare i bambini, e di questo un certo signor Gallo, non ne sarebbe stato molto contento.

<< Mi fa schifo. >> osò dirgli Vinicio, furibondo.

<< Se stasera passa da casa mia le spiegherò nel dettaglio cosa dovrà fare. Oh, spero che non sia allergico ai gatti, il mio caro micio Emo sta poco bene e ha bisogno di compagnia, quindi sono costretto a portarmelo ovunque. >>

<< Adoro gli animali…. >>

<< Bene. A stasera allora, arrivederci. >>

Non appena la comunicazione si chiuse, Vinicio lanciò via la cornetta che rimase a penzoloni sul tavolino con il filo corto.

“Stronzo! Stronzo! Stronzo!” ripetè mentalmente, mentre colpiva il muro.

“Che Dio ti fulmini!” gli augurò.

 

Il Cimitero di San Andrea era come qualsiasi altro cimitero: triste, cupo… ma al contrario di molti altri, particolarmente bello.

Non c’era lapide o cappella che non avesse ornamenti di pietra con rassicuranti figure angeliche o elementi della natura, a volte persino qualcosa che richiamava un dettaglio della vita della persona defunta. C’era, per esempio; la cappella dei Costantini, antica famiglia di gondolieri, il cui tetto stesso ricordava quello del felze[3]; oppure la tomba del giudice Zennaro, uomo che in vita fu molto rispettato per il contributo nel far rispettare la legge, che oltre ad avere un commosso epitaffio alla sua memoria, aveva la lapide protetta dalla dea della giustizia che reggeva una bilancia di ottone dorato. Per questo motivo il comune si assicurava di assumere dipendenti che sapessero mantenerla in buono stato e pulita, lì dove le loro capacità glielo permettevano. I più recenti dipendenti, però; avevano maggior interesse nel guadagno facile, anziché nella cura dei defunti.

All’insaputa delle autorità e delle famiglie che venivano a porgere un fiore sulle tombe, tre nuovi assunti, uno smilzo dai capelli neri, un nano del centro nord del paese e un vecchio orbo, si erano messi d’accordo per lucrare a discapito dei morti. Quando lasciati incustoditi nelle cappelle del commiato, li depredavano dei beni materiali lasciati addosso come anelli o bracciali, oppure; all’insaputa dei parenti, ne disseppellivano le spoglie appena sepolte e rivendevano gli organi a clienti che ne richiedevano per motivi di cui avevano il buon senso di non chiedere informazioni. Per l’orbo non era la prima volta che si “dilettava” in questo tipo di lavoro, difatti il suo atteggiamento era freddo e distaccato mentre caricava i cadaveri su un carretto come fossero sacchi di patate.

<< Avete sentito? Stavolta non era la mia immaginazione. >> disse il nano, voltando la lanterna verso l’interno del cimitero.

Forse era l’impressione che gli dava il suo collega, forse l’atmosfera del cimitero, ma da quando avevano cominciato a disseppellire cadaveri, si sentiva molto nervoso.

Non era un tipo suggestionabile o che aveva timore della morte, quella notte però c’era qualcosa che non quadrava e da quando aveva cominciato il turno sentiva strani rumori e qualcosa di simile a movimenti furtivi ogni volta che dava le spalle al campo santo, ma le sue apprensioni caddero sorde alle orecchie dei suoi colleghi.

<< E piantala, stasera sei proprio una piaga con ‘sta fissa dei rumori. >>

<< Ti dico che c’è qualcosa qui… non siamo soli stasera. >>

<< E certo che non siamo soli. Siamo in un cimitero. >>

<< Smettila di prendermi per il culo! È una cosa seria! >>

<< State zitti tutti e due. Risparmiate il fiato per scavare, piuttosto che ciarlare a vuoto. Abbiamo ancora tre tombe da disseppellire, quindi datevi da fare, se volete che veniamo pagati. >>

Il nano e lo smilzo eseguirono l’ordine, cominciando a smuovere la terra della tomba su cui ci stavamo irrispettosamente sopra. Scavarono per cinque minuti prima che un sordo brontolio li fermò, facendo ridere uno di loro.

<< Ma che hai, fame proprio adesso? In questo posto? >>

<< Guarda che non era il mio stomaco. >>

<< Il mio nemmeno. Te che ci dici invece, vecchio? >>

L’orbo non c’era più, lo smilzo e il nano erano rimasti da soli con il carretto da cui pendeva un sacco da fuoriusciva una pallida mano. I due uomini si guardarono intorno confusi, certi di non averlo né visto, né sentito allontanarsi. L’assenza del suo basso e costante brontolare ampliò il silenzio del cimitero che era diventato più buio, di colpo si sentirono in balia del vuoto che aleggiava in quel mesto posto e i soldi non apparvero più un buon pretesto per restare lì dentro.

Prima che la necessità di scappare arrivasse ai loro cervelli, qualcosa arrivò alle loro spalle più veloce del pensiero. Gelida, letale e spaventosa.



[1] La vitiligine è una condizione cronica della pelle, nella grande maggioranza dei casi non congenita[1], caratterizzata da ipomelanosi o leucodermia cioè dalla comparsa sulla cute, sui peli o sulle mucose, di chiazze non pigmentate, cioè zone dove manca del tutto la fisiologica colorazione dovuta alla melanina, e che appaiono bianche o traslucide.

[2] Il termine Calle deriva dal latino callis, cha significa viottolo, sentiero, mulattiera.

[3] Il felze era una cupola che veniva posta sulla gondola per proteggere il passeggero dalla pioggia e dalle intemperie.

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